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A piccoli passi, nell’oscurità: la politica monetaria all’indomani della pandemia

Intervento di Fabio Panetta, Membro del Comitato esecutivo della BCE, al seminario online organizzato dal Robert Schuman Centre for Advanced Studies e dalla Florence School of Banking and Finance presso l’Istituto universitario europeo

Francoforte sul Meno, 28 febbraio 2022

Dopo molti anni di bassa inflazione, nell’area dell’euro sembra emergere il rischio opposto, ossia il rischio di essere alla vigilia di una prolungata fase di elevata inflazione. Nelle economie avanzate l’inflazione si sta rivelando più diffusa e più persistente di quanto era stato inizialmente previsto. Le banche centrali sono quindi chiamate a valutare la possibilità che la sostenuta dinamica dei prezzi possa radicarsi all’interno del sistema economico. Si tratta di un compito assai arduo, soprattutto nell’area dell’euro.

Durante la pandemia, l’economia europea è stata sostenuta dai decisi interventi di politica monetaria e dalla proficua interazione tra politica monetaria e politica di bilancio. Ma dopo una recessione con caratteristiche anomale, ci troviamo oggi in una fase di ripresa anch’essa anomala.

L’attuale fiammata inflativa è infatti dovuta solo in parte a fattori domestici, a un’economia “su di giri”. La domanda interna resta infatti inferiore al suo trend pre-crisi.

L’inflazione che oggi vediamo è alimentata da una serie di shock di origine internazionale che hanno gonfiato i prezzi all’importazione, comprimendo il reddito disponibile e la domanda aggregata. L’uscita dalla pandemia è inoltre contraddistinta da un disallineamento tra domanda e offerta a livello mondiale – in particolare nei comparti della manifattura e dell’energia – con effetti eterogenei fra settori. Gli andamenti delle macroeconomici osservati in passato potrebbero pertanto fornire segnali poco informativi circa gli andamenti futuri.

Un tale contesto rende assai arduo anticipare l’andamento dell’economia nel medio termine. Si osservano infatti, a un tempo, fattori in grado sia di limitare la ripresa e le pressioni inflazionistiche, sia di alimentare una accelerazione dei prezzi. Errori nella conduzione della politica monetaria, possibili in entrambe le direzioni, potrebbero condurre l’economia su un percorso sfavorevole.

DI fronte a queste incertezze, le banche centrali devono accompagnare la ripresa economica con politiche monetarie prudenti, calibrando i propri interventi di politica monetaria con gradualità e cautela, evitando di soffocare la ripresa, tuttora incompleta. Per lasciarci definitivamente alle spalle la fase di bassa inflazione e debole crescita dello scorso decennio dobbiamo consolidare i progressi compiuti sinora.

Parafrasando William Brainard[1], nell’oscurità dobbiamo muoverci con cautela, a piccoli passi.

La drammatica aggressione in atto in Ucraina sta ora gravando sulle condizioni della domanda e dell’offerta a livello globale, generando incertezza e ampliando, in entrambe le direzioni, i rischi circa la dinamica dei prezzi nel medio termine. In un tale contesto sarebbe imprudente vincolarsi a decisioni future prima che svaniscano le conseguenze dell’attuale crisi.

La BCE è pronta a intervenire per spegnere eventuali tensioni finanziarie innescate dalla guerra in Ucraina e per salvaguardare la trasmissione della politica monetaria.

L’inflazione importata

I dati relativi all’andamento recente dell’inflazione nell’area dell’euro non sono di facile lettura. L’inflazione complessiva a gennaio è salita al 5 per cento, e dovrebbe mantenersi al di sopra del 2 per tutto l’anno; l’inflazione di fondo si colloca al 2,3 per cento, a fronte di pressioni inflazionistiche diffuse (figura 1)[2].

Al fine di definire le modalità con cui la politica monetaria deve reagire a questi andamenti occorre comprendere le determinanti dell’accelerazione dei prezzi. In un precedente intervento ho parlato di inflazione “buona”, “brutta” e “cattiva”, esaminando le implicazioni di politica monetaria di ciascuna di esse.[3]

In sintesi, l’inflazione “buona” si osserva quando la domanda interna e i salari risultano coerenti con l’obiettivo della banca centrale; la politica monetaria dovrebbe quindi accompagnare la dinamica dei prezzi fino al conseguimento del proprio obiettivo di inflazione. L’inflazione “cattiva” emerge invece quando shock negativi dal lato dell’offerta provocano un aumento dei prezzi e un calo dell’attività economica; la politica monetaria dovrebbe tollerare tali andamenti. La peggiore tipologia di inflazione, quella “” brutta”, è connessa con il disancoraggio delle aspettative di inflazione; in questo caso la politica monetaria dovrebbe reagire con fermezza.

I dati più recenti indicano che nell’area dell’euro prevale tuttora l’inflazione “cattiva”.

A differenza degli Stati Uniti, l’economia europea non è caratterizzata da un eccesso di domanda interna rispetto all’offerta. Il reddito delle famiglie non è tornato ai livelli pre-crisi e il risparmio rimane al di sopra dei valori precedenti la pandemia (figura 2). La spesa per consumi e investimenti rimane ampiamente inferiore rispetto al trend osservato prima della crisi (figura 3).

L’inflazione è in larga misura importata. Essa è infatti dovuta agli shock che hanno colpito sia la domanda sia l’offerta a livello globale e che si ripercuotono ora sulla nostra economia attraverso l’aumento dei prezzi all’importazione (figura 4, diagramma di sinistra).

Circa il 60 per cento dell’inflazione registrata a gennaio deriva dai rincari dei prodotti energetici, di cui l’area dell’euro è importatrice netta (figura 4, diagramma di destra). L’accelerazione dei prezzi è causata, in particolare, dagli ingenti aumenti dei prezzi del gas e del petrolio (figura 5, diagramma di sinistra). A loro volta, questi ultimi riflettono soprattutto la scarsa offerta prevalente sui mercati internazionali dell’energia, piuttosto che una maggiore domanda (figura 5, diagramma di destra). Il costo dell’energia ha accelerato ulteriormente dopo l’aggressione russa all’Ucraina.

L’inflazione è inoltre alimentata dalla riallocazione della spesa per consumi dai servizi ai prodotti manufatti, in presenza dei vincoli alla produzione di beni insorti su scala globale a seguito della pandemia. Sono emerse strozzature nelle catene di approvvigionamento mondiali, accompagnate da rincari dei beni durevoli e da ulteriori pressioni inflazionistiche. Questi andamenti – che colpiscono l’economia dell’area dell’euro come shock di offerta – stanno ora rientrando, pur se a ritmi diversi nelle diverse economie (figura 6).

L’aumento dei prezzi determinato da queste dinamiche spiega buona parte dell’alta inflazione che osserviamo attualmente, soprattutto nei comparti dell’energia, dell’industria, oltre che nel settore alimentare (figura 7, diagramma di sinistra).

Per contro, l’inflazione nel settore dei servizi – la componente maggiormente legata alle condizioni dell’economia interna – ha riguardato finora soprattutto i settori con maggiore frequenza di contatti interpersonali (figura 7, diagramma di destra). Questi settori sono maggiormente colpiti dalle tensioni derivanti dalla riapertura dell’economia dopo la pandemia, ma in alcuni casi risentono anch’essi del rincaro dell’energia.

L’incertezza circa le prospettive d’inflazione

Gli shock di offerta originati dai prezzi all’importazione stanno alimentando l’inflazione “cattiva”, acuendo l’incertezza sulle prospettive dell’inflazione inflazione nel medio termine.

In primo luogo, l’inflazione dovuta al rincaro dei prodotti energetici rappresenta di fatto una “tassa”[4] che comprime i consumi e frena la produzione e che finisce per pesare sull’economia europea come uno shock negativo sulla domanda aggregata. Essa accresce pertanto l’incertezza circa le prospettive di crescita e rende più arduo valutare il momento in cui verrà raggiunta la piena capacità produttiva.

Prima dell’invasione dell’Ucraina, l’economia mostrava segni di recupero, dopo il rallentamento causato dalla diffusione della variante Omicron. L’attività produttiva rimaneva però al di sotto del trend pre-crisi del PIL valutato in base a una pluralità di modelli analitici (figura 8). Riportare il PIL sulla soglia inferiore dell’intervallo individuato da queste stime rappresenta a mio parere la condizione minima per poter concludere che le risorse sono pienamente utilizzate[5]. Secondo le stime attualmente disponibili ciò non accadrà prima della metà del 2023.

La “tassa sui consumi” potrebbe ritardare ulteriormente il ritorno al trend di crescita pre-pandemico. L’aumento della bolletta energetica ha già compresso il potere di acquisto delle famiglie di circa due punti percentuali (figura 9, diagramma di sinistra) e sta minando la fiducia dei consumatori (figura 9, diagramma di destra). Esso sta inoltre intaccando le riserve finanziarie accumulate durante la pandemia, in particolare quelle delle famiglie a basso reddito, riducendo la possibilità che in futuro i consumi possano essere finanziari facendo ricorso alle scorte finanziarie (figura 10).

In secondo luogo, shock persistenti derivanti dai maggiori prezzi all’importazione rendono più difficile valutare se l’inflazione si stia radicando nel tessuto economico domestico. Il fatto che l’inflazione di fondo abbia superato il 2 per cento potrebbe indicare, prima facie, un aumento delle spinte inflazionistiche interne. Una analisi approfondita rivela tuttavia che l’inflazione di fondo è anch’essa in larga parte riconducibile ai rincari dell’energia, che stanno facendo lievitare i costi in quasi tutti i settori produttivi (figura 11).

L’inflazione dei beni manufatti potrebbe rimanere elevata nel breve periodo per effetto del rialzo dei costi degli input produttivi. Al di là di questo orizzonte, la sua dinamica è anch’essa difficile da prevedere. Il livello delle scorte sta tornando su livelli normali, suggerendo che la domanda potrebbe avere toccato il picco. L’esperienza recente – caratterizzata da vincoli diffusi all’offerta di beni – potrebbe indurre le imprese ad accumulare scorte più elevate a scopo precauzionale. Ciò prolungherebbe le tensioni, ma in un secondo tempo – quando le strozzature all’offerta saranno riassorbite – potrebbe generare scorte in eccesso, amplificando il ciclo manifatturiero e la volatilità dell’inflazione nel comparto manifatturiero.

Tutte queste incertezze sono oggi acuite dalle conseguenze dell’invasione dell’Ucraina.

Il conflitto sta già determinando un aumento della volatilità finanziaria. Esso può inoltre indurre gli investitori ad anticipare il potenziale impatto delle sanzioni e delle possibili ritorsioni, provocando ulteriori tensioni sui mercati. Le conseguenze potrebbero rivelarsi difformi tra paesi, fino a impedire una omogenea trasmissione della politica monetaria in tutta l’area dell’euro.

La guerra accresce inoltre l’incertezza sull’evoluzione dell’economia nel medio termine. I rincari dell’energia innescati dal conflitto aumentano il rischio che l’inflazione rimanga a lungo superiore al nostro obiettivo, mentre le turbative nell’offerta di materie prime e beni alimentari potrebbero dimostrarsi più persistenti[6]. Al tempo stesso, essi rendono più onerosa la “tassa sui consumi” e deprimono il clima di fiducia, aggravando i rischi al ribasso per la crescita e ritardando ulteriormente il ritorno al pieno utilizzo delle risorse produttive.

Il percorso verso la stabilità dei prezzi

In un tale clima di incertezza, il percorso verso la stabilità dei prezzi è costellato da rischi in entrambe le direzioni.

Dato che l’inflazione importata potrebbe durare più a lungo, i salari dovranno aumentare per evitare una ulteriore erosione del potere di acquisto. In caso contrario potrebbe emergere uno scenario avverso, caratterizzato da una chiusura più lenta dell’output gap e da ulteriori pressioni disinflazionistiche quando verrà riassorbita l’inflazione “cattiva”.

Ma potremmo trovarci in uno scenario opposto, anch’esso sfavorevole, caratterizzato da una inflazione a lungo elevata, in grado di destabilizzare le aspettative di crescita dei prezzi. Ciò potrebbe incidere sulle contrattazioni salariali e sulle pressioni inflative, collocandole stabilmente su livelli superiori al nostro obiettivo.

La possibilità di evitare entrambi questi rischi e di collocare l’economia su un sentiero di stabilità dipende in misura determinante dalla risposta della politica monetaria. Errori nella conduzione della politica monetaria potrebbero sospingere l’economia verso un percorso sfavorevole, mettendo a repentaglio i progressi sin qui ottenuti.

Se ci trovassimo di fronte a un falso segnale e reagissimo a un rialzo temporaneo dell’inflazione inasprendo le condizioni finanziarie potremmo soffocare la ripresa. Allo stesso modo, se rispondessimo con esitazione all’insorgere di pressioni inflazionistiche di origine domestica potremmo inavvertitamente inviare un segnale di scarsa determinazione nella difesa della stabilità dei prezzi.

In entrambi i casi sarebbe errato valutare le tendenze dell’inflazione nel medio termine semplicemente in base agli andamenti passati dei prezzi. L’attenzione va concentrata sugli andamenti prospettici dei salari, della produttività, delle aspettative di inflazione. Va analizzata l’evoluzione dell’attività produttiva, validando le nostre analisi sulla base delle indicazioni che provengono dall’effettivo andamento dell’economia reale.

I dati sin qui disponibili suggeriscono che gli scenari sfavorevoli non si stanno concretizzando.

Le tensioni sul mercato del lavoro non sembrano particolarmente pronunciate, soprattutto in confronto ad altri paesi (figura 12, diagramma di destra); anche una accelerazione non sembrerebbe in grado di innalzare la dinamica salariale al di sopra della crescita di fondo della produttività e del nostro obiettivo di inflazione (figura 12, diagramma di sinistra)[7]. La dinamica salariale, sin qui moderata[8], riflette in parte i timori relativi alla sicurezza del posto di lavoro; lo shock causato dal conflitto in Ucraina potrebbe accrescere ulteriormente tali timori. Le diverse misure delle aspettative di inflazione non forniscono indicazioni di un possibile disancoraggio (figure 13 e 14)[9].

Il pericolo che l’alta inflazione sin qui osservata si radichi nell’economia sembra quindi al momento contenuto. Al fine di allontanare definitivamente il rischio di uno scenario di bassa inflazione sono tuttavia necessarie ulteriori rassicurazioni che il miglioramento in atto nel mercato del lavoro non si traduca in una crescita salariale incoerente con il nostro obiettivo di inflazione al 2 per cento.

Una delle principali conclusioni scaturite dal riesame della nostra strategia di politica monetaria è che, dopo un lungo periodo di bassa inflazione, dovremmo attendere che la ripresa dell’inflazione di fondo – di cui i salari sono una componente essenziale – sia sufficientemente avanzata prima di avviare eventuali aggiustamenti della politica monetaria. Inoltre, le probabilità di eventi rari (tail risks) desunte dai prezzi delle opzioni indicano che i mercati percepiscono tuttora rischi di un ritorno a una fase di inflazione molto bassa[10].

Nella situazione attuale la BCE ha quindi due compiti principali.

In primo luogo, a fronte dell’eccezionale livello di incertezza derivante dalla crisi ucraina, la priorità immediata è salvaguardare il funzionamento del settore finanziario e sostenere la fiducia degli operatori, al fine di contenere l’impatto dello shock sull’economia reale e di preservare le condizioni per una regolare attuazione della politica monetaria.

In secondo luogo, dobbiamo accompagnare la ripresa in maniera equilibrata, adottando interventi prudenti, graduali a mano a mano che diverranno più chiare le conseguenze dell’attuale crisi.

Accompagnare la ripresa con azioni equilibrate

Oltre quarant’anni fa, William Brainard ha proposto il “principio della prudenza”, secondo cui in condizioni di incertezza la politica monetaria deve agire con cautela[11].

Questo principio non si applica a tutte le forme di incertezza. Ad esempio, in presenza di shock deflazionistici in grado di spingere i tassi d’interesse verso il loro limite inferiore (effective lower bound), la politica monetaria deve reagire con decisione[12]. Lo stesso varrebbe qualora emergessero rischi di disancoraggio delle aspettative di inflazione[13].

Tali considerazioni hanno ispirato gli interventi assai decisi effettuati dalla BCE nella prima fase della pandemia. Se le tensioni finanziarie indotte dal conflitto in Ucraina richiedessero nuovi interventi, dovremo agire con pari determinazione, ricorrendo a tutti i nostri strumenti.

Le decisioni adottate nello scorso febbraio hanno ribadito che “nell’ambito del mandato del Consiglio direttivo, in condizioni di tensione la flessibilità rimarrà un elemento essenziale della politica monetaria ogni qual volta i rischi per la sua trasmissione mettano a repentaglio il conseguimento della stabilità dei prezzi”.

Quando invece l’incertezza riguarda gli effetti della politica monetaria, la strategia ottimale della banca centrale è diversa, e richiede di procedere a piccoli passi. È questo l’approccio da seguire all’uscita dalla pandemia: a fronte di shock dal lato dell’offerta che comprimono al tempo stesso l’inflazione e l’attività produttiva, dobbiamo essere pronti a ricalibrare la nostra politica con aggiustamenti progressivi in funzione degli effetti dei nostri stessi interventi.

Abbiamo iniziato a ridurre gli acquisti netti di titoli già nel corso del 2021, e torneremo entro il settembre di quest’anno a una impostazione della politica monetaria in linea con quella antecedente la pandemia (figura 15, diagramma di sinistra). I rendimenti reali in euro sulle scadenze a più lungo termine si collocano già oggi sui livelli pre-crisi (figura 15, diagramma di destra).

Le prospettive d’inflazione sono più solide rispetto a prima della pandemia. Una volta superate le tensioni indotta dalla guerra in Ucraina, la politica monetaria potrà tornare ad accompagnare la ripresa con interventi improntati alla cautela, che potrebbero risultare coerenti con un ulteriore aggiustamento dei nostri acquisti netti di titoli. Modifiche ulteriori nell’intonazione della politica monetaria andrebbero ponderate attentamente, per tre motivi fondamentali.

In primo luogo, i rendimenti reali negli ultimi mesi sono aumentati in misura maggiore nell’area dell’euro rispetto agli Stati Uniti, nonostante la diversa posizione ciclica delle due economie (figura 15, diagramma di destra). Non sarebbe prudente compiere ulteriori passi prima di aver verificato che l’inflazione – effettiva e attesa – rimarrà saldamente ancorata al 2 per cento in presenta di condizioni di finanziamento meno favorevoli. Ciò è particolarmente rilevante alla luce dell’incertezza che caratterizza le stime relative al tasso di interesse reale di equilibrio (il cosiddetto “tasso naturale”; figura 16), che rende difficile valutare la distanza rispetto a una intonazione neutrale della politica monetaria.

In secondo luogo, occorre essere certi che una riduzione troppo brusca del nostro stimolo monetario non provochi turbolenze sui mercati e un brusco irrigidimento delle condizioni di finanziamento. Ciò comprometterebbe infatti la ripresa dell’inflazione di fondo e il ri-ancoraggio delle aspettative di inflazione al nostro obiettivo.

Nelle scorse settimane abbiamo constatato che le aspettative di inflazione rispondono con rapidità a variazioni improvvise del profilo atteso dei tassi ufficiali. Prima dell’inasprimento delle tensioni in Ucraina, i mercati avevano anticipato il momento del rialzo atteso dei tassi ufficiali; ciò aveva interrotto la fase di miglioramento delle aspettative di inflazione desunte dai mercati, tornate a scendere (figura 17, diagramma di sinistra)[14]. Il fatto che il calo delle aspettative di inflazione ha riguardato unicamente l’area dell’euro[15] potrebbe indicare timori che la BCE potrebbe reagire in misura eccessiva ai dati sull’inflazione, attuando una correzione della sua politica monetaria troppo ampia e troppo brusca. Preoccupazioni di questa natura sono desumibili anche dal profilo della curva a termine dell’€STR, che in quella fase registrava un massimo nel 2024 per poi scendere, coerentemente con una percezione che l’economia non sia ancora pronta a sostenere tassi di interesse elevati (figura 17, diagramma di destra).

Nel 2018, la sospensione degli acquisti netti di titoli si svolse in maniera ordinata soprattutto perché i tassi a breve termine rimasero ancorati grazie alla forward guidance. Non ci siamo mai trovati in passato in una situazione in cui i mercati sono chiamati a modificare simultaneamente le aspettative relative all’evoluzione degli acquisti di titoli e le attese sull’andamento futuro dei tassi. Una tale condizione potrebbe determinare un rialzo eccessivo dei premi per il rischio lungo l’intera curva dei rendimenti. Per di più, in questa fase la correzione delle politiche monetarie che si profila presso le principali banche centrali potrebbe generare effetti indesiderati sulle condizioni di finanziamento nell’area dell’euro.

In terzo luogo, la crisi finanziaria ci ha insegnato non solo che i tassi d’interesse non vanno aumentati prematuramente, ma anche che in mancanza dei necessari strumenti, una stretta monetaria può dar luogo a fenomeni di frammentazione finanziaria. Qualora ciò accadesse, la politica monetaria potrebbe trovarsi a dover scegliere tra un inasprimento delle condizioni di finanziamento eccessivo per alcune parti dell’area dell’euro, in grado di comprimere la domanda interna, e un aggiustamento monetario inferiore a quello necessario.

La frammentazione potrebbe essere oggi provocata dalle conseguenze della pandemia. Occorre quindi un meccanismo per affrontarla diverso da quello adottato durante la crisi finanziaria[16]. L’Eurosistema dispone di un assetto operativo che si è dimostrato adeguato a fronteggiare le formidabili sfide degli ultimi due anni: la flessibilità del nostro programma di acquisto per l’emergenza pandemica e quella del NextGenerationEU varato dalla Commissione europea hanno infatti consentito di arginare la frammentazione insorta nei mesi iniziali del 2020. Tale esperienza ci indica con chiarezza la direzione da intraprendere. Sappiamo inoltre che tanto più il meccanismo di salvaguardia – il backstop – è credibile, tanto meno probabile è il suo utilizzo.

Conclusioni

Quando le conseguenze delle proprie azioni non sono chiare è bene agire con prudenza.

Dinanzi all’elevata incertezza circa le prospettive di inflazione a medio termine e all’insorgere di rischi in entrambe le direzioni la banca centrale deve procedere con cautela nell’adeguamento delle condizioni monetarie. Eventuali aggiustamenti andranno calibrati in base agli effetti delle nostre decisioni, consolidando i progressi compiuti nella difesa della stabilità dei prezzi ed evitando di soffocare la ripresa produttiva.

Una tale prudenza, necessaria già prima dell’invasione dell’Ucraina, diviene oggi cruciale. Il panorama mondiale si è fatto ancora più cupo e le nostre decisioni devono essere ancora più caute.

La BCE in questo momento è vicina ai cittadini ucraini, che si vedono minacciati da un atto di aggressione intollerabile, compiuto in violazione dei principi fondamentali del diritto internazionale. L’idea che un paese possa subire una vera e propria invasione militare dovrebbe rinsaldare la nostra determinazione a difendere tali principi ovunque nel mondo e in tutti i modi possibili.

Le priorità della BCE sono oggi chiare: adotteremo ogni misura necessaria, utilizzando tutti i nostri strumenti, al fine di risollevare la fiducia e stabilizzare i mercati finanziari. È questa la missione delle banche centrali nelle emergenze. E attueremo con rapidità le sanzioni decise dall’UE e dai governi europei.

Le scene a cui abbiamo assistito la scorsa settimana lasceranno il segno nelle nostre memorie. Spero però che un giorno, guardando all’indietro, potremo sentirci orgogliosi di aver compiuto il nostro dovere, mostrato determinazione e unità, agendo in nome dei valori universali di pace, libertà e prosperità.

  1. Brainard, W.C. (1967), “Uncertainty and the Effectiveness of Policy,” The American Economic Review, vol. 57, n. 2, pagg. 411-425.
  2. Circa il 60 per cento delle voci nel paniere dell’inflazione registra attualmente una inflazione superiore al 2 per cento; la quota di voci interessate da rincari negli ultimi tre mesi è ai massimi storici.
  3. Panetta, F. (2021), “Patient monetary policy amid a rocky recovery”, intervento presso l’Università Sciences Po, 24 novembre.
  4. L’effetto dei rincari dell’energia è simile a quello di un dazio che l’area dell’euro sta pagando al resto del mondo. Si veda Panetta, F. (2021a), op. cit.
  5. Le tendenze pre-crisi non sempre rappresentano il giusto parametro per la ripresa. La grande crisi finanziaria, ad esempio, è stata originata da un eccessivo indebitamento rispetto al futuro che ha poi dovuto essere riassorbito attraverso un lungo processo di riduzione della leva finanziaria. La pandemia però è stata uno shock esogeno temporaneo che non avrebbe dovuto ridurre in misura significativa la capacità di offerta dell’economia. Il sentiero di crescita pre-crisi è quindi un riferimento ragionevole. Si veda Panetta, F. (2021b), “Monetary autonomy in a globalised world”, messaggio di benvenuto alla Joint BIS, BoE, ECB and IMF conference su “Spillovers in a “post-pandemic, low-for-long” world”, 26 aprile.
  6. Ad esempio, Russia e Bielorussia producono grandi quantità di idrossido di potassio; l’Ucraina produce gas rari necessari per i laser utilizzati nella produzione dei semiconduttori; Russia e Ucraina sono grandi esportatori di grano.
  7. L’indagine della BCE presso grandi imprese traccia un quadro simile, in base al quale gli aumenti salariali medi passerebbero da circa il 2 per cento del periodo recente al 3 o più di quest’anno, benché con livelli significativamente più elevati di crescita salariale in alcuni settori con carenza di manodopera. Si veda Gareis, J., Morris, R. e Roma, M. (2022), “Main findings from the ECB’s recent contacts with non-financial companies”, Bollettino economico, numero 1, BCE.
  8. Il tasso medio di crescita delle retribuzioni contrattuali è stato pari all’1,5 per cento nel 2021 dopo l’1,8 nel 2020 complessivamente, livello inferiore alle nostre proiezioni di dicembre.
  9. Le aspettative dei consumatori, che presumibilmente influiscono in modo più diretto nelle contrattazioni salariali, mostrano una “gobba” distinta ma temporanea rispetto a gennaio dello scorso anno (nel gennaio del 2022 la distribuzione aumenta per le aspettative a un anno ma ridiscende per le aspettative a tre anni, si veda la figura 13). Anche le aspettative a più lungo termine evidenziano una maggiore concentrazione intorno al 2 per cento rispetto a un anno fa (figura 14, diagramma di sinistra), mentre un numero crescente di analisti monetari indica una stabilizzazione dell’inflazione sul 2 per cento, a fronte di una piccola parte che segnala un livello superiore a questo obiettivo (figura 14, diagramma di destra).
  10. Malgrado l’impennata dell’inflazione registrata nei mesi scorsi, analisi recenti sulle probabilità tail risks impatto implicite nei prezzi delle opzioni indicano che gli investitori temono tuttora che in futuro l’area dell’euro possa cadere nuovamente in una trappola deflazionistica, mentre per gli Stati Uniti risulta elevato il rischio opposto. Si veda Hilscher, J. Raviv Bar-Ilan, A. e Reis, R. (2022), How likely is an inflation disaster?, mimeo, London School of Economics, febbraio. Tali analisi mostrano inoltre che nel 2021 le percezioni di un’inflazione elevata da parte dei mercati sono aumentate in misura significativa per gli Stati Uniti, ma non per l’area dell’euro. Questi risultati (che stimano le probabilità di un’inflazione persistentemente molto alta o molto bassa utilizzando i prezzi delle opzioni sull’inflazione) riflettono fra l’altro la credibilità della banca centrale e del suo regime di politica monetaria.
  11. Brainard, W.C. (1967), op. cit.
  12. Nel settembre del 2020, ad esempio, sostenni che “i rischi di una reazione eccessiva delle politiche macroeconomiche sono nettamente minori rispetto ai rischi che le politiche rispondano con eccessiva lentezza o titubanza e che gli scenari peggiori si verifichino”. Si veda Panetta, F. (2020), “Asymmetric risks, asymmetric reaction: monetary policy in the pandemic”, intervento alla riunione del Money Market Contact Group della BCE, 22 settembre.
  13. Söderström, U. (2002), “Monetary Policy with Uncertain Parameters,” The Scandinavian Journal of Economics, vol. 104, n. 1, pagg. 125-145.
  14. Questa flessione è visibile anche nelle misure corrette per i premi per il rischio sugli orizzonti temporali più brevi.
  15. Negli Stati Uniti e nel Regno Unito le misure delle aspettative di inflazione sono rimaste sostanzialmente invariate nelle ultime settimane.
  16. In passato, la questione è stata risolta con uno strumento, le operazioni monetarie definitive, concepite per una situazione in cui la principale determinante della frammentazione erano le politiche nazionali insoddisfacenti, per cui furono messi a punto programmi di aggiustamento macroeconomico.
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